venerdì 26 febbraio 2010

Le 4 strategie di relazione on line

Dal manifesto di Cluetrain in poi e con lo sviluppo delle nuove tecnologie internet, i modi e gli strumenti per comunicare sono molto cambiati e diversificati.
La strategia classica di comunicazione, basata su messaggi semplici e reiterati, non funziona più.

La pubblicità unidirezionale, autoreferenziale e one way non basta più, in alcuni casi non serve più a nulla e molte volte irrita.
La crisi dei vecchi strumenti apre quindi nuovi orizzonti per costruire e mantenere le relazioni con i propri clienti, a cominciare dalla progressiva diffusione di Internet e dell'uso dei social media.

La nuova strada passa attraverso l’offerta di servizi aggiuntivi, tools e contenuti in grado di intrattenere, divertire, educare e incrementare i benefici ricevuti e il valore reale del prodotti e servizi offerti.




Ho provato a riassumere in una slide i 4 modi possibili di relazionarsi on line: l'estraneo (foreign), il seguace (follower), il tifoso (fan), l'amico (friend).

La linea continua indica la possibile evoluzione della modalità, mentre la linea tratteggiata indica una potenzialità minore di passaggio da una modalità all'altra.




Ho quindi riassunto in un modello sequenziale, che ho definito marketing to peer, le principali novità nell'approccio alla comunicazione di marketing amplificato oggi dal notevole sviluppo dei social media.

Ecco la sequenza tipo e le variabili chiave del modello per arrivare a costruire una relazione efficace on line: Promotion, Experience, Engagement, Relation.



Unendo le due slide si ottengono 4 semplici strategie di comunicazione per la relazione:
- la promotion (on ed off line) rivolta agli estranei volta a creare conoscenza ed attenzione,
- l'experience rivolta a follower,
- l'engagement per i fan,
- la relation (vera e propria) con i friend.

Le slide possono essere visualizzate più grandi e scaricate da flickr.

Che ne pensate? Qualche suggerimento o riflessione?

mercoledì 24 febbraio 2010

Coraggio o paura? Competere o cooperare?

Ieri sera ho letto un interessantissimo articolo di Stefano Cera intitolato

"Il dilemma del negoziatore tra competizione e cooperazione" scaricabile da qui.

L’ho trovato interessante perché mi ha fatto balenare alcune riflessioni.

Il suo articolo parla di negoziato, ma, che ci piaccia o no, ha molto a che vedere con il nostro vivere quotidiano.

Nell’articolo Stefano Cera definisce le strategie che vengono utilizzate nella gestione dei conflitti lui dice: “La strategia competitiva guarda al negoziato come a uno scontro tra le parti, che deve terminare con un vincitore e uno sconfitto (approccio “win-lose”). Tale approccio presenta alcuni vantaggi: non è ambiguo,mira al massimo e dà un’immagine forte di sé.

Tuttavia, ha anche alcuni svantaggi: infatti genera tensione e sfiducia tra le parti, peggiorando la relazione interpersonale, provoca situazioni di stallo e fa perdere di vista gli interessi reciproci.

La strategia cooperativa mira invece a “creare” valore in una trattativa, in maniera tale che le parti

lavorano insieme per aumentare la posta in gioco e non combattono tra loro per ridurla.

Il metodo utilizzato non è mai remissivo, ma costruttivo, empatico e finalizzato a far emergere gli interessi comuni tra le parti (approccio “win-win”), che concorrono a creare il terreno favorevole per una soluzione reciprocamente soddisfacente.

L’approccio cooperativo ha importanti vantaggi: genera più facilmente l’accordo e migliora la relazione interpersonale, incoraggiando l’interlocutore a seguire le nostre regole del gioco.

Anche in questo caso ci sono alcuni svantaggi: la difficoltà a raggiungere risultati concreti, il rischio di essere sopraffatti da un interlocutore tenace e poco portato a collaborare e la tendenza a far sottovalutare all’interlocutore la nostra forza.(...)

Dalla loro interazione, le parti potranno creare valore solo se saranno entrambe disposte a collaborare reciprocamente (es. dando informazioni sui propri interessi, sulla propria situazione, oppure attraverso la disponibilità a fare reciproche concessioni).

Se invece nessuno è disposto a collaborare ne soffriranno entrambe.”

Ecco. L’ultima frase mi ha dato parecchio da pensare.

Dal punto di vista delle persone coinvolte nella dinamica, infatti, il punto cruciale mi pare essere quello del dilemma tra paura e coraggio. Oppure tra irresponsabilità e responsabilità personale.

Per cooperare servono coraggio e responsabilità mentre il “brutto muso” può nascondere la paura di perdere qualcosa così come l’attenzione al risultato piuttosto che alla relazione.

Mi sembra proprio che, da qualsiasi punto di vista la si guardi, la domanda è sempre la stessa: quanto siamo disposti a “sporcarci le mani con la vita” o quanto piuttosto ci dedichiamo ad accumulare risultati pensando che siano questi a darci la misura di quello che siamo?

giovedì 18 febbraio 2010

Gli stati dell'Io - Il modello GAB


Uno stato dell'Io è un insieme di comportamenti, pensieri ed emozioni tra loro collegati.
E' uno dei modi in cui manifestiamo noi stessi in un dato momento.

Siamo nello stato dell'Io Adulto quando ci comportiamo, sentiamo e pensiamo in relazione a quello che nel "qui e ora" ci sta accadendo intorno e utilizziamo tutte le nostre risorse di persona adulta.

Siamo nello stato dell'Io Genitore quando ci comportiamo, sentiamo e pensiamo come facevano i nostri genitori o altri adulti di riferimento. Di solito ce ne accorgiamo subito dopo e capita che diciamo a noi stessi con sgomento "Sto invecchiando. Parlo come mio padre!"

Siamo nello stato dell'Io Bambino quando i nostri comportamenti, sentimenti e parole sono gli stessi di quando eravamo bambini. Magari non ci mettiamo ad urlare in mezzo alla strada perché vogliamo lo zucchero filato, però chi di noi non ha fatto i capricci almeno una volta ultimamente?

Niente paura: gli stati dell'Io servono, e servono tutti.

Ci serve l'Adulto per decidere nel qui e ora, per essere efficaci e competenti.
Ci serve il Genitore per riuscire ad adeguarci all'insieme di regole (alcune indispensabili per la sopravvivenza!) utili alla convivenza civile.
Ci serve il Bambino per essere spontanei e creativi utilizzando le nostre intuizioni.

Servono tutti, appunto. E non uno solo.

mercoledì 17 febbraio 2010

Il consulente e i case history di marketing

Amo i case history di marketing perché ti fanno fare bella figura.
Ti qualificano come esperto, ti ammantano di conoscenza e know how, ti fanno sembrano "uno che la sa lunga", un consulente che sa come va il mondo.

Amo i case history di marketing perché nelle aziende, ogni volta che illustri un caso, ti guardano sotto una luce diversa, con uno sguardo complice, entusiasta.
I manager, poi, ne sono avidi: non si accontentano mai, ne vogliono sempre di nuovi, di recenti, di illustri.
I fallimenti degli altri, poi, scatenano un misto di delusione e gioia, come per dire "io già lo sapevo che finiva così".

Amo i case history di marketing perché in aula, quando li presenti, gli allievi ti guardano con ammirazione, devozione e gratitudine.
Come se, attraverso lo studio del caso presentato, ognuno potesse assimilare la Conoscenza, il Sapere, la Suprema Via. E ti fanno diventare il docente più ambito e ricercato.

.......

Odio i case history di marketing perché non se ne può più.

Perchè ogni volta parli del passato, di ciò che è stato e che sicuramente oggi non è più, ne più lo sarà.

Perché un caso, che sia tuo o di altri, illustra sempre una parte, un pezzetto di quello che è stato lo scenario di riferimento ed il sistema di scelte, ma non spiega quasi mai i vincoli, le resistenze, le difficoltà delle scelte.

Odio i case history di marketing perché le aziende vogliono essere continuamente sorprese, perché devi presentare almeno 10 casi anche per scegliere un biglietto da visita.
Odio i case history di marketing perché la maggior parte dei manager conosce pochi mercati e di molte situazioni difficilmente afferra le scelte e le strategie.
Però sono pronti a sindacare su tutto. E a condizionare ogni tua proposta.

Odio i case history di marketing perché non si può più fare una lezione senza.
Perché altrimenti la lezione è solo teoria, quindi poco utile e noiosa.
Perché senza un bel caso di un’azienda famosa la lezione è fumosa.
Tanto, poi, a chi importa se nella azienda famosa non ci andrà mai a lavorare nessuno dei partecipanti. Quello che conta è l’illusione del sapere, non importa capire come operare nelle realtà dove lavorano o dove andranno.

Amo o odio, cliente contento o consulente scontento, utile o inutile, a favore o contro.

Mettiamo ai voti?

martedì 16 febbraio 2010

Le idee chiave dell'Analisi Transazionale




L'ho conosciuta più di vent'anni fà e, da allora, mi ha cambiato la vita.
E' apparentemente semplice, quel tanto che basta a farci riconoscere immediatamente cosa sta succedendo in una relazione e, se ci va, di correggere il tiro.

In realtà è una faccenda un po' complessa, ma neanche tanto da scoraggiare o da far pensare che è roba per strizzacervelli.

L'ha"inventata" Eric Berne, basandosi su presupposti filosofici precisi riguardo all'uomo, alla vita e agli obiettivi del cambiamento.

Già dagli enunciati di base si capisce che non è facile come sembra.
Chi di noi infatti riesce SEMPRE a pensare, e quindi a mettersi in relazione con gli altri, dando per scontato che:

Ognuno è OK
Tutti sono dotati di valore e dignità in quanto persone.
"Io accetto me stesso in quanto me e accetto te in quanto te".
Può succedere che io non accetti quello che tu fai, ma accetto sempre quello che tu sei.
Nessuno è superiore a nessuno ma siamo sullo stesso livello di esseri umani.

Ognuno ha la capacità di pensare
Salvo chi ha subito gravi danni cerebrali, tutti abbiamo la capacità di pensare.

Ognuno decide il proprio destino e queste decisioni possono essere cambiate
E' responsabilità di ciascuno di noi decidere cosa vogliamo dalla vita.
Ognuno di noi vive portandosi dietro le conseguenze di ciò che ha deciso.

Messa così pare un po' drastica: tutti vanno bene così come sono, tutti sono responsabili di ciò che scelgono e delle relative conseguenze.
Perciò... niente lamentele, niente "è colpa di...", "se solo fosse successo questo o quello" e men che mai "se tu non fossi.... se tu facessi....se tu provassi...."
Restiamo di colpo a corto dei soliti argomenti su cui imbastiamo le nostre conversazioni quotidiane.

Panico. Sgomento. E ora?

Eppure è proprio da questo silenzio che possiamo imparare che se è vero che siamo ok e che dipende da noi... allora tutto è possibile!

lunedì 15 febbraio 2010

Ecologia delle relazioni

Ho tratto, e adattato, questi punti dai Dieci paradossi dell’ecologia delle relazioni
di Marco Geronimi Stoll con Francesco Betti.
Sono stati pensati per gli insegnanti nei riguardi dei bambini, ma a pensarci bene vanno benissimo anche per i comunicatori e, in generale, agli adulti.
Mi sono piaciute la franchezza e la freschezza di queste considerazioni e consigli, perché vanno dritto al punto, parlano chiaro e, soprattutto, fanno riflettere.

Nessuno può obbligare un altro a pensare un certo pensiero.
La mente di ciascuno è un luogo misterioso e complesso, di cui sappiamo solo una cosa certa: sicuramente non è uno statico magazzino di nozioni.
Ogni novità, anche la più minuscola, muove tutto l’universo misterioso della nostra mente.
Quindi niente può essere “insegnato”, tutto può essere “appreso”.

La comunicazione: o è reciproca o non è.
Quando un bambino acquisisce un’ informazione, (cioè gli si creano “differenze in mente”), contemporaneamente “insegna” qualcosa all’insegnante (cioè crea “differenze” nella mente del docente).
Morale: “se oggi non ho imparato niente dai bambini è probabile che i bambini non abbiano imparato niente da me”.

Se sbagliando si impara, allora chi non sbaglia mai resterà ignorante.
La scuola è e deve essere il posto dove si impara a sbagliare.
La più preziosa dote di un buon insegnante è saper dire “tu stai sbagliando” sottintendendo “che bello: adesso hai un’occasione per migliorarti”
(...) Non è così anche tra adulti? Chiunque di noi, se non si sente accettato in un ambiente, non può migliorare le sue parti imperfette: può solo nasconderle.

Il miglior modo per valorizzare i bambini è farli valorizzare tra loro.
Tutti questi figli unici, ebbri di solitudine televisiva, con genitori indaffarati... il loro sforzo strenuo è farsi vedere da un grande: quante spiritosaggini, bizze, ricattini, spiate, provocazioni...
(...) Uno dei mezzi per dare una svolta a questa situazione è abituarli ad ascoltarsi reciprocamente quando parlano.

Molto meglio non essere un insegnante troppo bravo.
Se siamo troppo sicuri di una teoria o di un metodo, finiamo col vedere solo quello che vogliamo. In una testa troppo “piena” di teorie e di opinioni non c’è il posto per ricevere modificazioni dall'ambiente. Così, qualche volta, “bravi” diventa il contrario di “capaci”.
Risultato: persone che hanno molte cose da dire a volte non riescono a comunicarle perché non riescono ad ascoltare gli altri.

Se diciamo a un bambino “in questo non riesci”, lui ci ubbidirà.
Ciascuno si adegua inconsciamente alle attese degli altri.
Se, credendo di incoraggiarlo, diciamo ad un bambino “tu con le divisioni sei proprio un disastro”, (o se tradiamo tale pensiero non verbalmente) probabilmente egli si adeguerà alle nostre aspettative e avrà guai con le divisioni anche all’Università.
Se invece ci aspettiamo dai bambini risultati positivi (e convincercene è un condizionamento interiore, nostro personale) allora molte cose potranno migliorare.
E’ il noto “effetto Pigmalione”, che somiglia ad una più famosa e prosaica “legge di Murphy”: se ti aspetti che qualcuno possa combinare un errore, sicuramente ciò accadrà.

Morale:
Quando state stendendo la programmazione annuale non chiedetevi solo cosa voglio insegnare”; chiedetevi anche: “Quest’anno, cosa voglio imparare?”

venerdì 12 febbraio 2010

La difficile arte di ascoltare

Sappiamo tutti che alla base della buona comunicazione c’è la capacità di ascoltare.
E siamo tutti convinti di esserne capaci.

Sicuri? Sicurissimi? Sempre? Anche quando andiamo di corsa? Anche quando stiamo leggendo una mail, rispondendo al telefono e ci arriva un sms?

E quando siamo concentrati sul nostro interlocutore, riusciamo a tenere ferma la mente e a non pensare a cosa gli risponderemo tra poco?

Ascoltare è molto diverso da “sentire.
E’ molto lontano anche da “rispondere”, lontanissimo da “replicare”.
L’opposto di “discutere”.

E allora vale la pena di fare un po’ di ordine, e di raccogliere qualche consiglio, una check list che ci serva a verificare quanto e quando stiamo veramente ascoltando.

Ascolto attivo significa:

sospendere i giudizi, non definire l'interlocutore o quello che dice. Dobbiamo solo seguire il suo pensiero, ascoltate per capire e non per giudicare;

osservare ed ascoltare, raccogliendo tutte le informazioni necessarie sulla situazione contingente;

mettersi nei panni dell'altro, cercare di assumere il punto di vista del proprio interlocutore e condividendo le sensazioni che manifesta;

verificare la comprensione, facendo domande, parafrasando, chiarendo, riassumendo ciò che abbiamo capito o gli aspetti concreti di ciò che l’interlocutore ci ha detto.

Marianella Sclavi ha scritto queste divertenti ''Sette Regole dell'Arte di Ascoltare'':
1. Non avere fretta di arrivare a delle conclusioni. Le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca.

2. Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista. Per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare punto di vista.

3. Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva.

4. Le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali se sai comprendere il loro linguaggio. Non ti informano su cosa vedi, ma su come guardi.

5. Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili. I segnali più importanti per lui sono quelli che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti,perché incongruenti con le proprie certezze.

6. Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione interpersonale. Affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi in un campo che lo appassiona: la gestione creativa dei conflitti.

7. Per divenire esperto nell'arte di ascoltare devi adottare un metodo umoristico. Ma quando hai imparato ad ascoltare, l'umorismo viene da sè.

E per finire una carrellata sulle cattive abitudini (e pessima educazione) per riconoscere a colpo d'occhio di quelli che non ascoltano:
  1. interrompono
  2. saltano alle conclusioni
  3. finiscono la frase al posto vostro
  4. cambiano argomento di frequente
  5. non fanno attenzione al linguaggio del corpo
  6. non rispondono a ciò che gli avete detto
  7. non fanno domande e non danno un feedback
  8. cercano di convincervi con la logica
  9. ridicolizzano
  10. interpretano
  11. consolano
  12. danno ordini
  13. mettono in guardia
  14. vi fanno la predica.

Naturalmente queste sono cattive abitudini degli altri, non nostre... vero?

giovedì 11 febbraio 2010

Come è cambiato il marketing



Una overdose continua di nuovi prodotti e servizi, offerte e informazioni, spesso contrastanti, che confonde, disorienta, a volte stordisce.
Un effetto marmellata di imprese, brand, promozioni e spot.
Un marketing che è costretto a cambiare pelle per adattarsi ai nuovi tempi.
Un problema fondamentale di attenzione che è una risorsa limitata e che non si compra, ne si riesce ad imporre.

Nel modello classico di Porter le strategie competitive per le imprese nel mercato globale sono essenzialmente due: la leadership di costo e la differenziazione.
Esiste in realtà una terza via che è la focalizzazione, ma in pratica è la scelta tra prime due in un ambito locale.

Sostanzialmente (quasi) tutte le imprese devono scegliere una strategia di differenziazione.
E come è possibile differenziarsi? 4 sono, sempre secondo Porter, le strade alternative:
1. le caratteristiche distintive del prodotto
2. il livello qualitativo
3. i costi di accesso e di utilizzo
4. l’immagine.

Tutte strade già battute da anni, molte volte con successo, che però oggi non risolvono più il problema centrale: l'attenzione dei potenziali clienti e il ritorno dei clienti già acquisiti.

Ecco allora che nasce una nuova opportunità di differenziazione: la relazione intesa sia come costruzione che come mantenimento delle relazioni con i propri clienti.

La relazione è coinvolgimento e partecipazione emotiva, ascolto e dialogo che possono generare un'attenzione continua.
Ma per ottenere una vera attenzione, le imprese devono concederla per prime, cominciando a ascoltare e conversare con i propri clienti.

"Don´t you have something interesting to say?" afferma il video in chiusura.

martedì 9 febbraio 2010

10 modi per comunicare personalmente


Nuove modalità di comunicazione per creare, sviluppare e mantenere relazioni: accanto ai modi classici (parlare, telefonare,scrivere) e a quelli più tecnologici (email, messaggi di testo, video chat e messaggi istantanei) si affermano sempre più anche in Italia strumenti “social” quali facebook (messaggi e status) e twitter.
E voi quali preferite usare?


chart via

lunedì 8 febbraio 2010

Internet è per tutti (davvero?)

Josh Bernoff ha scritto un post sul blog di Groundswell in cui sostiene che Internet si sta “scheggiando”.

Sostiene che questo è dovuto in larga parte al fatto che le applicazioni non funzionano nello stesso modo sui diversi dispositivi disponibili.

Bernoff dice anche di fare attenzione a tutti i soggetti che amministrano in proprio i contenuti e per argomentare fa esempi interessanti.

“Apple continuerà a stabilire quali applicazioni funzioneranno sui suoi iPad. Facebook continuerà a chiedere un login per accedere e la maggior parte dei suoi contenuti non sarà visibile da Google. Infine lo schermo dell’iPhone continuerà ad essere troppo piccolo per poter vedere bene la maggior parte delle pagine Web.

Questo sta creando dilemmi a chi crea e sviluppa siti perché l’HTML 5 non è la cura miracolosa.”

E prosegue ponendo alcune domande che lui chiama “indice Splinternet”, 6 quesiti su cui interrogarsi, e alla maggior parte dei quali non si possono dare risposte concrete, per capire di cosa sta parlando:

1. In che misura le visite a tutte le pagine Web su tutti i dispositivi procurano un’esperienza che non è vicina alle intenzioni dei creatori?
2. In numeri assoluti, quante visite finiscono in una pagina che non rende come il creatore aveva pensato?
3. Quanto tempo passano i creatori di contenuti (siti, marketers e chiunque sviluppi contenuti interattivi) a decidere quale piattaforma usare e a personalizzare i loro contenuti per quelle piattaforme?
4. In quale proporzione i contenuti finiscono su piattaforme per cui non esistono ancora strumenti di misura?
5. Quanta parte dei budget a disposizione dei creatori di contenuti viene speso per inviarli a piattaforme in cui i contenuti sono controllati dalla piattaforma stessa (es. iPhone, iPad, Facebook ecc.)?
6. Quanta parte dei contenuti interessanti è nascosta sotto login inaccessibili per i search engines?

venerdì 5 febbraio 2010

Intelligenza emotiva: molti lo sanno, pochi lo fanno

Introduction to Emotional IntelligenceOttima questa presentazione che introduce all'intelligenza emotiva.
Serve come il pane, ma purtroppo la conosciamo ancora in pochi.
Queste slides sono un fantastico promemoria per chi la conosce e un buon punto di partenza per chi ancora no.
Da tenere a portata di mano!


mercoledì 3 febbraio 2010

Comunicare è dialogare

Dialogare non è facile. Meglio fare da soli che litigare, obbligare, convincere, obbedire.
Dialogare non è informare, dirigere, ordinare, prevalere, dimostrare.
Dialogare significa essere disposti a cambiare qualcosa di se stessi, fare il primo passo, varcare una distanza, riconoscere la dignità dell’altro.

Il dialogo nasce dall’accettazione, dal riconoscimento della pari dignità delle persone e prevede la rinuncia alle presunte certezze e verità assolute in favore della relazione.

Dialogare non significa necessariamente amare l’altro, o condividerne le ragioni, ma accoglierlo così com’è, ascoltarlo e capire il suo mondo, comprendere il suo punto di vista non filtrandolo attraverso il nostro.

Per parlare con gli altri dobbiamo prima parlare con noi stessi. Dobbiamo ammettere e riconoscere che la nostra educazione, la nostra cultura, tutto il nostro ambiente ci rendono inevitabilmente vittime di pregiudizi e stereotipi. Dobbiamo considerare relativo, e quindi mutevole, qualcosa che siamo abituati a pensare come assoluto. L’ideale è essere così forti da non rimanere attaccati alle nostre opinioni e vincere la paura dell’imprevisto.

E allora saremo capaci di parlare e agire non per prevalere o “dimostrare di avere ragione” ma per riflettere, imparare, condividere un altro pezzo di strada del nostro percorso umano, personale e collettivo.

Le 95 tesi di Cluetrain

Il libro ormai è introvabile.
Il sito le contiene in inglese.
Eppure sono il fondamento del nuovo modo di intendere la comunicazione d'impresa che, da quando esistono, non è più stata la stessa.
O meglio non può più permettersi di essere la stessa.

1. I mercati sono conversazioni.

2. I mercati sono fatti di esseri umani, non di segmenti demografici.

3. Le conversazioni tra esseri mani hanno un suono umano. Si svolgono con voce umana.

4. Sia che si comunichi informazioni, opinioni, prospettive, dissenso o un’osservazione salace, la voce umana è aperta, naturale, non artificiosa.

5. Le persone si riconoscono come tali dal suono di questa voce.

6. Internet dà agli esseri umani la possibilità di conversare in un modo che era semplicemente impossibile nell’era dei mass media.

7. I link ipertestuali sovvertono le gerarchie.

8. Sia nei mercati connessi via Internet sia tra i dipendenti collegati sulle intranet, le persone si parlano in un modo nuovo, molto più efficace.

9. Queste conversazioni in Rete stanno facendo nascere nuove forme di organizzazione sociale e nuovi scambi di conoscenze.

10. Il risultato è che i consumatori stanno diventando più intelligenti, più informati, più organizzati. Diventare partecipanti attivi di un mercato in Rete cambia profondamente le persone.

11. Le persone che formano questi nuovi mercati in Rete hanno capito che possono ottenere più informazioni e sostegno parlando tra loro, piuttosto che con chi vende. Tanti saluti alla retorica aziendale per promuovere e “aggiungere valore” ai prodotti.

12. Non ci sono segreti. Il mercato online conosce i prodotti meglio delle aziende stesse. E diffonde a tutti la propria opinione, buona o cattiva che sia.

13. Ciò che si sta verificando tra i consumatori sta avvenendo anche tra i dipendenti. L’entità metafisica chiamata “Azienda” è la sola cosa che li divide.

14. Le grandi aziende non parlano con la stessa voce che caratterizza questa nuova conversazione in Rete. Vogliono rivolgersi a un pubblico online, ma la loro voce suona vuota, letteralmente inumana.

15. Nel giro di pochi anni, l’attuale voce omogeneizzata del business – il tono della missione aziendale e delle brochures – sembrerà artefatta e artificiale quanto il linguaggio della corte francese del Settecento.

16. Già oggi le aziende che parlano il linguaggio degli imbonitori pubblicitari e delle messinscene promozionali non hanno più un pubblico.

17. Le aziende si stanno facendo grosse illusioni se credono che i loro mercati siano uguali al target delle loro pubblicità televisive.

18. Le aziende che non capiscono che i loro mercati sono ormai una Rete tra singoli individui, sempre più intelligenti e coinvolti, stanno perdendo la loro migliore occasione.

19. Oggi le aziende possono comunicare direttamente con i loro mercati. Se non sfruttano questa opportunità, sprecano la loro ultima occasione.

20. Le aziende devono rendersi conto che i loro mercati ridono spesso. Di loro.

21. Le aziende dovrebbero sorridere un po’ e prendersi meno sul serio. Hanno bisogno di un po’ di senso dell’umorismo.

22. Avere senso dell’umorismo non significa mettere qualche barzelletta sul sito Web aziendale. Significa avere valori, umiltà, schiettezza e onestà.

23. Le aziende che cercano di “posizionarsi strategicamente” devono prendere posizione. Possibilmente su qualcosa che interessi davvero al loro mercato.

24. Darsi delle arie con frasi pompose tipo “Siamo posizionati per diventare il primo fornitore di XYZ” non costituisce in sé un posizionamento strategico.

25. Le aziende devono scendere dalle loro torri d’avorio e parlare con le persone con le quali vogliono entrare in contatto.

26. Le Pubbliche Relazioni non si mettono per niente in relazione con il pubblico. Le aziende hanno una paura tremenda dei loro mercati.

27. Con il loro linguaggio inverosimile, poco invitante e arrogante le aziende tengono i mercati alla larga.

28. Molti progetti di marketing si basano sulla paura che il mercato possa vedere cosa succede realmente all’interno delle aziende.

29. Elvis l’ha detto meglio di tutti nella canzone Suspicious Minds “Non possiamo andare avanti sospettandoci a vicenda”.

30. La fedeltà ad una marca è la versione aziendale della coppia fissa, ma la rottura è inevitabile ed è in arrivo. Dato che sono in Rete, i mercati intelligenti possono rimettere in discussione le loro relazioni con incredibile rapidità.

31. I mercati in Rete possono cambiare fornitore dalla sera alla mattina. Chi lavora su Internet può cambiare datore di lavoro nel giro di un’ora, durante la pausa pranzo. Le cosiddette “iniziative di downsizing” di aziende che licenziano a tutto spiano ci hanno abituato a questa domanda: “Ma la fedeltà cos’è?”.

32. I mercati intelligenti troveranno fornitori che parlano il loro stesso linguaggio.

33. Parlare con voce umana non è un gioco di società. Non si impara certo partecipando a qualche convegno esclusivo.

34. Per parlare con voce umana, le aziende devono condividere gli interessi della loro comunità.

35. Ma prima devono appartenere ad una comunità.

36. Le aziende devono chiedersi fino a dove si estenda la loro mentalità di impresa.

37. Se questa loro mentalità non arriva a coinvolgere la comunità, allora non hanno mercato.

38. Le comunità umane sono basate sulla comunicazione – discorsi umani su problemi umani.

39. La comunità basata sulla comunicazione è il mercato.

40. Le aziende che non appartengono a una comunità basata sulla comunicazione sono destinate a morire.

41. Le aziende hanno una fede quasi religiosa nelle misure di protezione, ma si tratta in gran parte di manovre diversive. La maggior parte delle imprese vuole difendersi non tanto dai concorrenti quanto dal proprio mercato e dagli stessi dipendenti.

42. Come per i mercati in Rete, le persone si parlano direttamente anche dentro l’azienda – e non parlano solo di regole e regolamenti, comunicazioni della direzione, profitti e perdite.

43. Queste conversazioni si svolgono oggi sulle intranet aziendali. Ma solo quando ci sono le condizioni necessarie.

44. Di solito le aziende impongono l’intranet dall’alto, per distribuire documenti sulle politiche del personale ed altre informazioni aziendali che i dipendenti fanno del loro meglio per ignorare.

45. Le intranet tendono a schivare la noia. Le migliori sono quelle costruite dal basso da singole persone che si uniscono per dare vita a qualcosa di molto più valido: una conversazione aziendale in Rete.

46. Una intranet efficiente organizza i dipendenti nel più ampio significato del termine. Il suo effetto è più radicale di qualsiasi programma sindacale.

47. Se questo spaventa a morte le aziende, è pur vero che esse dipendono fortemente dalle intranet aperte per far emergere e condividere le conoscenze più importanti. Devono resistere all’impulso di “migliorare” o tenere sotto controllo queste conversazioni in Rete.

48. Quando le intranet aziendali non sono condizionate da timori o da un eccesso di regole, incoraggiano un tipo di conversazione molto simile a quella dei mercati in Rete.

49. Gli organigrammi funzionavano nella vecchia economia in cui i progetti aziendali dovevano
essere ben compresi da tutta la piramide gerarchica, e gli ordini dettagliati venivano imposti dall’alto.

50. Oggi l’organigramma è fatto di collegamenti ipertestuali, non di gerarchie. Il rispetto per chi possiede conoscenze di prima mano prevale su quello per l’autorità astratta.

51. Gli stili di management basati sul comando e sul controllo derivano dalla burocrazia, dai deliri di onnipotenza e da una cultura della paranoia – e al tempo stesso li rafforzano.

52. La paranoia uccide la conversazione. E’ quello il suo scopo. Ma la mancanza di conversazioni parte uccide le aziende.

53. Ci sono due tipi di conversazioni in corso. Una all’interno dell’azienda, l’altra con il mercato.

54. Nella maggior parte dei casi nessuna di queste due conversazioni sta procedendo molto bene. Alla base del fallimento ci sono quasi sempre le vecchie idee di comando e controllo.

55. Come politiche d’impresa, queste vecchie idee sono molto nocive. Come strumenti, non funzionano. Comando e controllo sono percepiti con ostilità dai “knowledge worker” sulle intranet aziendali e generano sfiducia tra i mercati in Internet.

56. Queste due conversazioni vogliono incontrarsi. Parlano lo stesso linguaggio. Si riconoscono a vicenda dalla voce.

57. Le aziende intelligenti si faranno da parte per far accadere il prima possibile quello che ormai è inevitabile.

58. Se prendiamo la volontà di farsi da parte come parametro per misurare il loro quoziente intellettivo, non ci resta che constatare quanto rare siano le aziende che dimostrano di aver aperto gli occhi.

59. Ormai sono milioni le persone in Rete che, seppure in modo subliminale, percepiscono le aziende come grandi finzioni legali, che fanno di tutto per impedire l’incontro di queste conversazioni.

60. Questa è una tendenza suicida. I mercati vogliono parlare con le aziende.

61. Il problema è che quella parte dell’azienda con la quale vogliono parlare è spesso nascosta dietro la cortina fumogena del battage pubblicitario, il cui linguaggio suona falso – e spesso lo è.

62. I mercati non vogliono parlare con i pierre, i pubblicitari e gli imbonitori. Vogliono partecipare alle conversazioni che si svolgono dietro ai firewall di protezione delle reti aziendali.

63. Toglietevi la maschera, parlate come persone: quei mercati siamo noi. Vogliamo parlare con voi.

64. Vogliamo accedere alle vostre informazioni, ai vostri progetti, alle vostre strategie, alle vostre migliori idee, alle vostre vere conoscenze. Non ci accontenteremo delle vostre brochure in quadricromia, né dei vostri siti Web stracolmi di eleganti trovate grafiche ma senza alcuna sostanza.

65. Noi siamo anche quegli stessi dipendenti che fanno andare avanti le vostre aziende. Vogliamo parlare ai clienti direttamente, con le nostre voci e non con le solite banalità scritte nel copione.

66. Sia come consumatori sia come dipendenti ne abbiano le scatole piene di ottenere le vostre informazioni attraverso il telecomando. Che bisogno c’è di bilanci annuali senza volto e di ricerche esterne di mercato per poterci conoscere l’un l’altro?

67. Come mercati, come dipendenti, ci domandiamo perché non ci ascoltate. Sembra che parliate una lingua diversa.

68. Il linguaggio presuntuoso e pieno di sé che amate sfoggiare – sulla stampa, ai congressi – cosa c’entra con noi?

69. Forse riuscirete a fare colpo sui vostri investitori e sugli azionisti di Wall Street, ma di certo non fate colpo su di noi.

70. Se non fate colpo su di noi, i vostri investitori si prenderanno una bella botta in borsa e ci rimetteranno un sacco di soldi. Non lo capiscono? Se lo capissero, non vi lascerebbero parlare così.

71. Le vostre stanche idee di “mercato” ci fanno addormentare. Non ci riconosciamo nelle vostre previsioni - forse perché sappiamo di stare già da un’altra parte.

72. Questo nuovo mercato ci piace molto di più. Anzi, lo stiamo creando noi.

73. Siete invitati, ma è il nostro mondo. Toglietevi le scarpe all’entrata. Se volete trattare con noi, scendete dal cammello.

74. Siamo immuni alla pubblicità. Lasciatela perdere.

75. Se volete che parliamo con voi, diteci qualcosa. E che sia qualcosa di interessante, tanto per cambiare.

76. Abbiamo anche noi qualche idea da proporvi: che ne dite di nuovi prodotti che siano utili sul serio, o di servizi migliori e più efficienti? Tutta roba che pagheremmo volentieri. Avete un minuto?

77. Siete troppo occupati con i vostri “affari” per rispondere ai nostri e-mail? Oddio, scusateci tanto, torneremo dopo. Forse.

78. Volete i nostri soldi? Noi invece vogliamo la vostra attenzione.

79. Abbandonate i trip, uscite dalle vostre nevrosi, venite alla festa.

80. Niente paura, potete ancora fare soldi. A patto che non sia l’unica cosa che avete in mente.

81. Avete notato che di per sé i soldi sono un argomento un po’ monotono e noioso? Di cos’altro possiamo parlare?

82. Il vostro prodotto si è rotto. Perché? Vorremmo parlare col tizio che l’ha fatto. La vostra strategia aziendale non ha senso. Vorremmo scambiare due parole con l’amministratore delegato. Che vuol dire che “non c’è”?

83. Vorremmo che prendeste sul serio 50 milioni di noi tanto quanto prendete sul serio un solo reporter del “Wall Street Journal”.

84. Conosciamo alcune persone che lavorano nella vostra azienda. Sono piuttosto simpatici quando sono online. Ne nascondete altri così? Possono uscire a giocare anche loro?

85. Quando abbiamo delle domande, ci rivolgiamo gli uni agli altri per ottenere risposte. Se voi non foste così dittatoriali con i “vostri” dipendenti, ci rivolgeremmo anche a loro.

86. Quando non siamo impegnati a farvi da “target di mercato”, siamo anche vostri dipendenti. Preferiremmo chiacchierare online con gli amici piuttosto che guardare l’orologio ogni cinque minuti. Potremmo così far conoscere l’azienda molto più di quello che riesce a fare il vostro sito Internet da un milione di dollari. Ma voi dite che parlare ai mercati è compito della Divisione Marketing.

87. Oh, come ci piacerebbe farvi capire cosa sta succedendo qui. Sarebbe davvero bello…non illudetevi però: non stiamo perdendo il sonno.

88. Abbiamo di meglio da fare che pensare se riuscirete a cambiare in tempo per convincerci. Il business è solo una parte della nostra vita. Per voi invece è tutto: chi ha bisogno di chi?

89. Il nostro potere è reale e lo sappiamo. Se ancora non avete visto la luce, arriverà qualcuno più attento, più interessante, più divertente con cui giocare.

90. Anche nei suoi momenti peggiori, il nostro nuovo modo di comunicare è più interessante
della maggior parte delle fiere commerciali, più divertente di qualsiasi sitcom televisiva, e certamente più realistico di qualsiasi sito Web aziendale che abbiamo visto finora.

91. La nostra lealtà è verso noi stessi – e i nostri amici, i nostri nuovi alleati, anche i nostri
compagni di giochi. Le aziende che non fanno parte di questo mondo non hanno nemmeno un futuro.

92. Le aziende hanno speso miliardi di dollari per il millennium bug. Come fanno a non sentire invece la bomba a orologeria dei nuovi mercati? La posta in gioco è persino più alta.

93. Siamo dentro e fuori le aziende. I confini che separano le nostre conversazioni ci sembrano oggi un muro invalicabile, ma in realtà sono solo una seccatura. Sappiamo che stanno crollando. Lavoreremo da entrambe le parti per farli crollare.

94. Le conversazioni online possono sembrare confuse alle aziende tradizionali. Ma noi ci stiamo organizzando più rapidamente di loro. Abbiamo strumenti migliori, più idee nuove, nessuna regola che ci rallenti.

95. Ci stiamo svegliando e collegando tra di noi attraverso mille link. Stiamo a guardare. Ma non stiamo ad aspettare.