lunedì 29 marzo 2010

Mitologia dello stress

A proposito di relazione con se stessi, ho trovato un interessante articolo dell’American Psycologist Association in cui si parla di miti legati allo stress.

Loro ne identificano sei, diffusi e fuorvianti.

1. Lo stress è uguale per tutti
Falso. Lo stress cambia da persona a persona.
Ognuno si stressa a modo suo e ciò che per qualcuno è stressantissimo per qualcun altro è una passeggiata di salute.

2. Lo stress è sempre negativo
Il che vorrebbe dire che senza stress saremmo tutti felici e contenti.
Falso anche questo.
Lo stress funziona per noi come la tensione per una corda di violino: troppo lenta e il suono è debole, troppo forte e la corda si spezza. Né troppo né troppo poco, quindi.
Il punto è, allora, come gestirlo.
Purtroppo il diapason per le  corde di violino esiste, per lo stress no.

3. Lo stress è ovunque e non ci si può fare niente
Non è detto. Può essere utile organizzarsi e pianificare la propria vita in base alle priorità, lavorando prima sui problemi semplici e poi su quelli più complessi.
Lo stress sembra essere ovunque quando non è gestito: ci fa sembrare i problemi tutti uguali e ci rende difficile identificare le priorità.
Quindi PRIMA rifaccio il letto e POI vado a salvare il mondo.

4. Le tecniche più diffuse per gestire lo stress sono le migliori
Non sempre. Non esiste una tecnica universale per gestire lo stress.
Siamo tutti diversi e ognuno ha la sua vita e il suo modo di reagire a quello che gli succede.
Quindi ciascuno di noi ha il suo personale modo di gestire lo stress: cucina, giardinaggio, jogging, meditazione......


5. Se non hai sintomi, non sei stressato
Assenza di sintomi non significa assenza di stress.
Nascondere i sintomi ci priva dei segnali che ci indicano quando è bene ridurre la tensione.
Non è necessario aspettare le vacanze, le ferie o qualsiasi altro momento per allentare un po'.
Molti ricorrono a "microsonnellini" di 5 minuti, altri a passeggiatine intorno al palazzo, a volte basta anche un giro della scrivania.

6. Sono i sintomi importanti di stress meritano attenzione
Secondo questo mito i sintomi minori, tipo mal di testa o acidità di stomaco, dovrebbero essere ignorati mentre invece sono segnali importantissimi che indicano che la vita ci sta sfuggendo di mano e che bisogna intervenire.
Perciò via analgesici e antiacidi dalle tasche e più centratura e ironia.

Bene. Abbiamo sgombrato il campo da un po' di equivoci.
E adesso perché non fare un bel test per vedere a che punto siamo?

venerdì 26 marzo 2010

Ripensiamo le RP


Gustosissimo questo video della Real Wire sul ruolo della comunicazione aziendale dell'era del web 2.0.
Molti dei paradigmi professionali saltano, a cominciare da quelli che consideravano il sistema mediatico come target finale.
Da un lato la competenza relazionale non è più delegabile alla funzione, alla casella dell'organigramma ma è necessario che diventi di tutti.
Quanto al target è sempre più evidente come i media tradizionali non siano fonti autorevoli da cui apprendere cosa succede nel mondo.
Gli influenti sono ovunque, gli opinion maker e leader cambiano continuamente, tutti parlano con tutti e il meccanismo non è più controllabile nel modo tradizionale, in cui bastava semplicemente far "filtrare" le informazioni giuste e tenere per sé le altre.
Il nuovo paradigma è quello del dialogo e la sfida per i comunicatori è convincere le aziende a mettersi in gioco superando la paura.

mercoledì 24 marzo 2010

Marketing personale


Il nostro video per capire l'impatto dei new media e i nuovi paradigmi di approccio alle potenzialità che offrono.
Ora sappiamo tutto quello che c'è da sapere.
Non ci resta che decidere di fare.

giovedì 18 marzo 2010

L’azienda digitale e i social media


Lo scorso 18 gennaio 2010 Cisco ha pubblicato i risultati di uno studio basato su interviste approfondite effettuate con 105 rappresentanti di 97 aziende in 20 diversi paesi del mondo, inclusa l’Italia, condotto fra aprile e settembre 2009.
Obiettivo: fare il punto su come le aziende utilizzano gli strumenti di social networking.

Piattaforme collaborative come Facebook e Twitter collegano le aziende al mondo esterno in moltissimi modi diversi e aprono nuove potenziali vie d’accesso al mercato, rendono più stretta la relazione con il cliente.

Ad oggi:

-        Il 75% delle aziende intervistate ha identificato nei social network i social media che utilizzano maggiormente;
-         il 50% di esse ha fatto riferimento anche ad un uso estensivo del microblogging.
-        Gli strumenti di social networking si stanno diffondendo nei settori marketing e comunicazione, risorse umane, servizio ai clienti.
-        In ambito marketing e comunicazione questi strumenti sono già parte integrante delle iniziative, in quanto chi se ne occupa conosce gli strumenti e come fonti di forme di interazione più ricche.
-        Le aziende medio-piccole utilizzano attivamente i canali dei social network per generare contatti, contrariamente a quelle più grandi.

Tutto questo, per ora, esprime soltanto una infinitesima parte delle sue potenzialità.

La criticità che sta emergendo, infatti,  riguarda la natura sostanzialmente destrutturata del social networking rende inefficaci i processi di governance già in atto e allo stesso tempo rende difficile creare ed adottare delle policy aziendali.
Inoltre  le aziende inoltre trovano difficile individuare un approccio equilibrato alla natura “personale” e “sociale“ di questi strumenti, mantenendo al contempo un certo grado di controllo.
 
E il punto è proprio questo: 
è possibile cercare di “governare” qualcosa che per sua natura è “ingovernabile”? 
è utile cercare di controllare strumenti che devono il loro successo proprio al fatto di essere fuori controllo?

In dilemma che le aziende si trovano davanti è quello di dover scegliere tra l’autorità e l’autorevolezza, fra l’informazione camuffata da comunicazione e il dialogo, tra l’arroccarsi e il mettersi in gioco.

Andando ancora più a fondo tutto questo ha a che fare con la capacità di gestire l’instabilità e il continuo cambiamento che da essa deriva.

Per natura noi umani tendiamo a conservare, a resistere al cambiamento e lo facciamo, paradossalmente, anche quando sappiamo che il “poi” sarà meglio del “prima”.
Per noi è sempre preferiible che tutto resti com’è.

Il punto è capire se possiamo ancora permetterci di  cercare di resistere a questa accelerazione di dinamiche che, una volta innescata, difficilmente si fermerà.
Io credo di no.

E allora?
Allora serve una sorta di rivoluzione copernicana, serve tornare al punto di partenza, al ricordarci di essere, prima che aziende, persone.
Serve ripartire da sé, imparare, migliorare, crescere.
E’ faticoso, certo. Ma può essere anche molto divertente!

venerdì 12 marzo 2010

Quanto sai ascoltare?

A proposito di verificare lo stato dell'arte, ecco qui un bel test sulla capacità di ascoltare.
Ne abbiamo già parlato. Non è facile. Meno di quanto sembri.
Eppure è proprio dalla qualità dell'ascolto che, spesso, dipende la qualità della relazione.

Dietro all'ascolto c'è l'accoglienza, e dietro l'accoglienza c'è la capacità di adattarsi, di prendere altre forme, proprio come l'acqua che, delicata e potentissima, accoglie tutto ciò che in essa si immerge e supera gli ostacoli "abbracciandoli" e prendendo la loro forma.

martedì 9 marzo 2010

Misurare l'autostima

Di questi tempi si fa un gran parlare di autostima, fiducia in se stessi e cose simili.
Vengono anche proposte ricette miracolose, trucchi in 5,7 o 10 mosse per diventare Superman o Wonder Woman.
Pare che oggi senza un'autostima stellare non si possa andare da nessuna parte. O Caterpillar o niente, insomma.
Come per tutte le sensazioni "interne", anche l'autostima attuale è il risultato di percorsi e vissuti che si sono affastellati, sommati, sedimentati dentro ciascuno di noi.
In più c'è l'autorappresentazione, cioè il "come crediamo di essere", che rende la questione ancora più intricata.
Direi che la prima mossa intelligente da fare è un test per verificare lo "stato dell'arte", augurandosi di essere equilibrati piuttosto che Caterpillar, come tutti quelli che si fanno domande, hanno qualche dubbio e cercano di migliorare!

lunedì 1 marzo 2010

Fidarsi è bene, non fidarsi è peggio

Sul numero di Focus di marzo ho trovato un interessante articolo che parla di fiducia.
Strano, non mi aspettavo di trovarlo lì.
Eppure c’era e, leggendolo, ho capito perché.

La questione della fiducia è vecchia quanto il mondo, eppure oggi nel nostro mondo civilissimo e progreditissimo, sembrava un po’ fuori moda. Roba da romaticoni inguaribili, bambini sognanti. Inutile, insomma.

E invece, guarda un po’, tutta questa grande evoluzione e civilizzazione in un certo senso ci hanno riportati al punto di partenza: senza fiducia la società non può esistere.
L'affidabilità di paesi e imprese fa girare l'economia planetaria, la reputazione è ormai la risorsa immateriale più preziosa che c'è.
Mica da ridere. Mica robetta da romantici o, peggio, da stupidi.

I dizionari della Lingua Italiana la definiscono come sensazione di sicurezza basata sulla speranza o sulla stima riposta in qualcuno o qualcosa oppure come sentimento di sicurezza che deriva dal confidare senza riserve in qualcuno o qualcosa e indicano come sinonimi: confidente, ottimista, pieno di aspettative, sicuro, speranzoso.

In inglese fiducia corrisponde a due parole.
Se vai sulla traduzione dall’italiano all’inglese trovi confidence (per assonanza “confidenza”) che in italiano vuol dire intimità, amicizia, dimestichezza, il confidare fiducia, sicurezza di sé.
Se invece vai a tradurre dall’inglese il termine trust indovina cosa ti viene fuori? Fiducia. Appunto.

Tutta roba difficile, in ogni caso. Già perché la fiducia prevede il coraggio di scommettere su qualcosa o qualcuno, instaurare una relazione interpersonale nel cui ambito operare congiuntamente per il miglioramento dello "status quo".
Significa contare sul fatto che le persone rispetteranno gli impegni e che sugli altri, oltre che su di sé, si può contare.

Ecco. E come la mettiamo con il rischio del tradimento? Secondo studi fatti di recente da Vittorio Pelligra il dare fiducia induce nell’altro il desiderio di meritarla, e per questo lo rende più affidabile. Oppure no. C’è chi ancora pensa di poterne approfittare, ma la buona notizia è che di solito si smaschera da solo, lasciando purtroppo dietro di sé delusioni e amarezze varie. Pare però che si tratti di una minoranza destinata all’autoestinzione. Basta dargli tempo.

Per quanto mi riguarda ho imparato a diffidare soprattutto di quelli che dicono “non mi fido di nessuno”.  Tradotto significa “non fidarti di me”. E’ già qualcosa.

E per finire un po’ di bibliografia per chi avesse voglia di approfondire:
S. Covey, La sfida della fiducia
V. Pelligra, I paradossi della fiducia
N. Luhmann, La fiducia
A. Marchetti, E. Di Terlizzi, S. Petrocchi, La fiducia e il coping nelle relazioni interpersonali
E. Resta, Le regole della fiducia